Pio Monte della Misericordia

Corso Luigi Manzi - 80074 Casamicciola Terme (NA)

Fu al principio del seicento che un gruppo di nobili napoletani si riunì per fondare una Confraternita, alla quale diede il nome di Monte della Misericordia, destinata ad uno sviluppo senza paragone ed anche non poco importante per la vita balneare dell'Isola d'Ischia. Secondo la tradizione un Pick-nick, organizzato nell'anno 1601 in un giardino di Posillipo, avrebbe dato il primo impulso alla sua fondazione: ciascun componente di una compagnia di nobili doveva contribuire alla piccola festa campestre, ma il giorno stabilito pioveva a dirotto; il giorno seguente era venerdì e i nobili, non volendo mangiare le pietanze di carne già preparate stabilirono di portare tutto ai poveri dell'Ospedale degli Incurabili. Alcuni dei cavalieri vi andarono di persona e furono talmente impressionati dalla gioia e dalla gratitudine di quei poveri ammalati, che decisero dì ripetere la visita anche il venerdì successivo.

Pio Monte della Misericordia
Pio Monte della Misericordia

Comunque è certo che, in quell'anno sette nobili napoletani cominciarono ad andare, ogni venerdì, al detto Ospedale per portare cibi e rinfreschi ai poveri e per confortarli, nello stesso tempo, spiritualmente. Oltre a ciò stabilirono che uno di loro ogni mese andasse per la città raccogliendo elemosine. Il primo che attuò questa nobile decisione fu Cesare Sersale e, con i 33 Carlini che trovò nella sua cassetta, fece celebrare 33 messe per i morti dell'Ospedale. Ma il numero dei nobili che si presentarono con contributi rilevanti crebbe così presto che già in breve si poté creare 15 nuovi posti letto ed offrire, ogni venerdì, ad ognuno degli ammalati, una cena opulenta. Dopo pochi mesi il movimento era giunto ad un punto da poter fondare - il 19 aprile 1602 - un "Monte", che si proponeva di dedicarsi a tutte le opere della carità. Il 10 luglio 1604, il Viceré approvò gli Statuti allora concepiti che il 15 novembre dell'anno successivo furono sanzionati anche da un breve di Carlo V. Lo stemma che scelse il "Monte" mostra sette colline che formavano un monte sovrastato dalla Croce. Su cinque di queste colline si leggono le lettere F A E O G, come abbreviazione del motto prescelto Fluunt ad eum omnes gentes, che si legge va una volta anche sull'ingresso dell'ospizio a Casamicciola.

Pio Monte della Misericordia
Pio Monte della Misericordia

Per quanto graziosa sia la storiella del Pick-nik guastata dalla pioggia, questo movimento altruistico, naturalmente ha delle radici più profonde. Se vediamo al principio del Seicento, nobili questuari per le strade di Napoli e sacrificarsi per i più Poveri; se quel Sersale, pochi anni dopo la fondazione del Monte, si divise da sua moglie e se ambedue si ritirarono vento, si tratta, in realtà, di una delle tante i conseguenze del movimento spirituale che I si propagò per tutta l'Europa verso la fine i del Cinquecento. Già nei primi Statuti del "Monte" era stabilito che per le sette opere fossero da eleggere sette gentiluomini di almeno 25 anni di età, chiamati i Governatori o i Deputati del Governo, i quali, seduti ad un tavolo rettangolare formavano la Consulta, che decideva tutte le cose riguardanti la Confraternita. I Deputati restavano in carica tre anni e mezzo, durante i quali, ogni semestre, cambiava per ciascuno l'opera cui doveva dedicarsi, in modo che attendevano in questo periodo, a tutte le sette opere della Misericordia. Difatti bastavano - essendo due di esse riunite - sei Deputati per le sette opere ed il settimo, più anziano, fungeva da Deputato del patrimonio. Così ogni Governatore diventava prima Deputato degli infermi, poi dei morti, dei carcerati, dei captivi, dei poveri vergognosi, dei pellegrini e finalmente, ricco d'esperienze, Deputato de patrimonio. Le elezioni spettavano alla Giunta, ossia alla riunione dì tutti i confratelli che avevano compito il diciottesimo anno. Le decisioni della Consulta furono raccolte nei cosiddetti Libri delle conclusioni; ed ogni tanto sì davano alle stampe anche istruzioni per Governatori basate sulle decisioni della Consulta e della Giunta, le quali rappresentano, naturalmente, una fonte preziosa per chi voglia studiare l'organizzazione e la sempre più vasta attività della Confraternita. Tali istruzioni comparvero ad esempio nel 1668 e nel 1705, e forniscono anzitutto il materiale per la seguente descrizione della vita seicentesca dell'Ospedale a Casamicciola. Autore ne era sempre qualche Segretario del Monte. Una introduzione firmata dai sette Governatori si rivolge alla Madonna quale patrona speciale della confraternita, come se fosse qualche alto personaggio secolare e la prega di gradire e loro fatiche e di assistere ai loro lavori. "Riverenti vi baciano quei piedi che calcano le stelle. In Napoli, il dì che foste Assunta gloriosa in Cielo, l'anno del Vostro virgineo Porto 1666. Del Vostro santissimo nome, umiliss, e divoti Servi li Governatori dei Monte della Misericordia" termina l'Istruzione del 1668, scritta da un certo Marito Ape. Le missioni degli ammalati ad Ischia ed il mantenimento dell'Ospedale e dei Bagni a Casamicciola rappresentavano soltanto un piccolo ramo della vasta attività del Monte; torna per tanto opportuno dedicare qualche parola agli impiegati ai quali erano affidati compiti importanti della amministrazione.

Pio Monte della Misericordia
Pio Monte della Misericordia

Verso la metà del secolo servivano alla Chiesa del Monte a Napoli oltre a otto chierici, non meno di 54 cappellani - tutti napoletani di nascita - da esso rimunerati. Fra loro si sceglieva il Segretario, che doveva assistere alle sedute, scrivere tutte le conclusioni, registrare i pagamenti, i sussidi lei matrimoni, i sussidi ai poveri vergognosi, i quali venivano annotati in un libro segreto, chiuso a chiave ecc.ecc. Obbligo del Razionale era tutta la contabilità; egli era responsabile per gli affari bancari, i bilanci speciali che si facevano tutti i mesi per ogni opera, e teneva i registri dei tanti lasciti che, col tempo, si accumulavano. Di grande importanza era anche l'ufficio del cosiddetto Mastro di Casa. Anch'egli cappellano, aveva da sorvegliare le vaste proprietà del Monte, tutte le case a Napoli e le masserie fuori città, da trattare con inquilini e coloni, controllare l'entrata degli affitti, pensare alle riparazioni necessarie e dare conto ogni mese di tutte le spese fatte per servizio della Congrega. Un notaio con paga fissa stipulava tutti i contratti e consegnava le copie all'archivio.
Il Rettore della chiese pensava al suo inventario, all'ordine nella sagristia, al servizio puntuale di tante messe che si leggevano ogni giorno. Egli distribuiva tutti gli anni al Viceré, alla Viceregina, all'Arcivescovo, ai Governatori, Deputati, Procuratori, a tutti gli altri impiegati e loto aiutanti fino al portiere, delle candele decorate con lo stemma del Monte, dal peso corrispondente alla importanza del personaggio, e cioè da 5 libbre fino a mezza libbra. Lo aiutava un sagrestano scelto tra i cappellani, al quale era anche affidato il reggimento su tutti gli altri cappellani, l'ornamento della Chiesa per feste e funerali e la sorveglianza dei servizi che i cappellani prestavano agli ammalati degli Incurabili. Era necessaria questa breve digressione perché diversi di questi impiegati, come il Mastro di Casa, il Segretario, il Razionale, qualche cappellano dovevano anche occuparsi dell'opera dei bagni. Nòn erano ancora passati due anni dalla fondazione del Monte, così visibilmente benedetto dal cielo, che sorse il pensiero di fondare a Casamicciola un Ospizio nel quale anche i tanti poveri che non erano in grado di venire a proprie spese ai miracolosi bagni dell'isola, potessero godere il beneficio delle acque termali.
Era il 19 gennaio 1604, allorché Carlo Caracciolo, come Governatore dell'opera degli infermi, fece tale proposta e si incaricò nella stessa seduta, Cesare Sarsale di studiare sul posto tutte le relative circostanze Accompagnato da Carlo Caracciolo E Giambattista Severinì, da medici, architetti e muratori si recò ad Ischia, dove la Commissione si convinse che il posto migliore per una tale costruzione fosse un terreno di fronte alle sorgenti del Gurgitello, situate sotto una certa Casa Barbieri.
La Consulta consentì a questa proposta e stabili così, per quasi 280 anni, il posto di questo importante stabilimento, che poi il Terremoto del 1883 ridusse ad un cumulo dì rovine.

Pio Monte
Pio Monte della Misericordia

L'entusiasmo di quei gentiluomini era tale che non vollero aspettare nemmeno che lo stabilimento fosse terminato, presero intanto in affitto una casa adatta a Casamicciola e la fornirono dì letti ed altre suppellettili, così che poterono ospitare, nello stesso anno 1604, 15 monaci e 24 poveri secolari. Nel nuovo Ospizio, v'era poi posto per 74 ammalati, oltre che un abbondante personale di servizio. Grazie a due successivi turni detti "missioni" in questa prima fase 148 ammalati godevano, ogni anno, d'una cura termale; di essi 40 erano religiosi di ordini che vivevano dì elemosina, accompagnati ed assistiti da 12 fratelli laici dei loro rispettivi conventi, 16 preti e 92 poveri laici vergognosi.
Nel piano principale era una corsia grande con 20 camere per i monaci e altre otto camere per i sacerdoti. Al di sopra dì questo piano si trovavano sei stanzette per i fratelli laici; al dì sotto un'altra corsia grande con 46 letti per i laici, alla quale sì accedeva per una anticamera spaziosa, il cosiddetto "vaglio della corsea di basso".
Inoltre vi erano le stanze per il Deputato, che doveva dimorare, durante le due missioni, a Casamicciola, per il suo servitore, per il medico che, possibilmente, doveva essere un ischitano pratico delle acque locali, per il Mastro dì casa, che si recava in questo periodo a Ischia, e per tutti gli altri ministri e inservienti che nominerà in seguite.
C'era anche una cappella e, naturalmente tutti gli altri servizi necessari per un tale stabilimento, come cucine, forno, cantina lavanderia, due ripostigli, dei quali uno soltanto per il vino, ognuno con una stanza attigua, nella quale pranzavano i cappellani e il personale dì servizio. Tutto l'insieme racchiudeva un cortile con un grande gelso nel mezzo. Oltre a ciò c'erano otto camerette dette "i bassi", che si adoperavano in principio per albergare poveri soprannumerati, i quali erano costretti a dormire sul nudo suolo e mangiavano sotto gli occhi del pubblico, i rifiuti delle tavole degli altri. Ma in seguito il "Monte" decise con ragione dì abolire questa usanza non consona ai suoi principi. Possiamo immaginarlo l'entusiasmo col quale lo Jasolino - purtroppo da poco morto - avrebbe salutato questa pia Opera, se i suoi occhi avessero visto un tale cambiamento del luogo a lui tanto caro. Con ragione avrebbe potuto essere fiero e soddisfatto di questo successo della sua instancabile propaganda fatta durante decine d'anni per questa "ancora della salute", come egli chiamava l'acqua del Gurgitello.
I Governatori non dimenticarono di perpetuare la memoria della fondazione di quell' Opera con la seguente iscrizione che si poteva leggere fino al 1883 nell'Ospizio di Casamicciola.Hospitiun hocce Ad Pauperes Aegrotos Excipiendos Tam Laicos Quam Mystas Ascetasque Ut Insulae Puro Aere Calidis Aquìs Et Salubris Mephitibus Pii Montis Misericordiae Expensis Morbis Levarentur Gubernadores Eiusdem a Fundamentìs Erexere Anno MDCIV.
L'istruzione del 1668 ci permette di dare uno sguardo nelle camere dei religiosi: in ognuna stava una letto con cortinaggio bianco, due materassi finì, un paio dì lenzuola, un cuscino, una coperta dì lana ee una seconda più leggera, una sedia e un "boffettino con tiratore", nel quale c'erano "un mesaletto, una salvietta, il coltello, una brocca, forchetta e cocchiaro, una saliera, bicchiere e sottocoppa ed un candeliere dì otto candele di sevo". L'orinale e l'indispensabile seggetta completavano l'arredamento. Le sei camere dei loro fratelli laici e quelle dei preti contenevano lo stesso arredamento, tranne le suppellettili necessarie per i pasti; mentre si portava il desinare dei religiosi, separatamente, nelle loro camere, i fratelli laici pranzavano insieme nei due ambienti attigui ai ripostigli. Per i laici sì apparecchiavano cinque tavole nel vaglio della corsia dì basso. Medico e Deputato prendevano i pasti nelle loro stanze. Una serie di prescrizioni regolava la scelta degli ammalati, alla quale si provvedeva con tutta coscienza. Ai primi d'aprile un manifesto del Governatore, affisso nei luoghi pubblici della città di Napoli, comunicava che il Monte avrebbe aperto nella successiva estate la sua Casa dei bagni a Casamicciola e che i bisognosi, che non fossero in grado di curarsi a spese proprie, avrebbero potuto fare entro maggio la domanda. lì primo martedì di maggio si eleggevano un deputato speciale al quale veniva affidata la direzione dell'Opera, il cosiddetto Corrispondente, anche lui gentiluomo, che, rimanendo a Napoli, doveva provvedere alle necessarie spese giornaliere (si facevano venire tutti i viveri dalla città) e due cappellani della Chiesa del Monte, uno per la dispensa, la cantina e la biancheria, l'altro come infermiere dei preti e capo degli infermieri che servivano i laici. Quest'ultimi erano alla dipendenza del Maestro di Casa il quale, insieme col Segretario, era responsabile della amministrazione dell'Ospizio. Il Maestro comandava anche il resto del personale ed era, grazie alla sua esperienza e pratica, il garante per la buona riuscita dell'impresa, alla quale frapponevano non poche difficoltà che oggi difficilmente riusciamo ad immaginare. Verso la fine di maggio il Governatore offriva ai Superiori degli Ordini di frati questuanti che godevano, ogni anno, di un numero stabilito diletti nell'Ospizio, i rispettivi posti, richiedendo l'elenco dei nomi di quelli che volessero mandare. Nello stesso tempo si rivolgeva una supplica al Viceré, pregandolo che ordinasse al Governatore dell'isola di andare incontro a tutti i desideri del deputato dell'Opera dei bagni. Intanto, scaduto il termine per le domande da parte degli ammalati, se ne poteva dare comunicazione ai diversi confratelli stabiliti nei vari quartieri della città, affinché potessero visitare i supplicanti ed informarsi della loro situazione economica ed infermità. A tergo della domanda scrivevano il loro parere, rimandandola chiusa al Governatore. Il Monte pensava, prima di tutto, ai poveri vergognosi; i comuni mendicanti, invece, non erano ben visti. Dal 1654 in poi aggiungeva ai 92 letti per i laici, dieci posti per soldati spagnoli, dei quali disponeva il Segretario di guerra. Era usanza di mandarli sempre con la seconda missione. Quando le domande superavano il numero dei posti disponibili si rimandava, eliminando così ogni possibile influenza interessata, la decisione alla sorte. Un nuovo avviso invitava tutti i supplicanti a trovarsi il 20 giugno nella sede del Monte, ove, generalmente nella Chiesa o in altro ambiente adatto, dopo l'invocazione dello Spirito Santo, sì mettevano i cartelli con i loro nomi in un'urna. Appena cavato un nome, l'interessato veniva chiamato davanti alla Commissione formata dal Governatore, dal Deputato per Ischia, dal Segretario e dal medico ischitano. Questi visitava l'ammalato e stabiliva subito numero e genere dei bagni necessari - oltre che del Gurgitello, si prescrivevano i bagni di Fontana e Fornello al lago e le arene calde di Lacco. Il Segretario segnava ciascun nome, insieme col giorno della partenza, su una tessera, che era detta "la figurina" ed era ornata con l'immagine della Madonna. Una lista serviva come controllo. In un primo tempo si consegnava subito la figurina agli ammalati; poi si abbandonò questo sistema poco pratico. Succedeva troppo spesso infatti che qualcuno che si vergognava di partire insieme con tutti gli altri pezzenti andasse già prima, a proprie spese, a Ischia. Ma non di rado, per altri motivi, mancava l'uno o l'altro il giorno della partenza. Perciò si consigliava ai poveri non sorteggiati, di trovarsi lo stesso alla marina con la speranza di poter sostituire uno degli assenti. L'effetto era che spesso, a Casamicciola, due persone aspiravano allo stesso letto. Per evitare un tale inconveniente, si dava in seguito soltanto un numero, che si cambiava appena alla marina con la figurina. Intanto i conventi avevano comunicato i nomi scelti dai superiori e si avvicinava il grande giorno del 30 giugno, in cui il primo trasporto soleva partire dal Porto Salvo, che era allora vicino alla Immacolatella Vecchia di oggi. Che spettacolo pittoresco doveva essere! Tutti quei monaci nelle loro diverse tonache, i Cappuccini della S.S. Concezione, gli Zoccolanti, gli Agostiniani scalzi e i Carmelitani, i Teatini e così via qua e là uno con bastoni e grucce, soldati spagnoli, poveri e disgraziati delle strade e vicoli di Napoli, marinai col berretto rosso, il nobile Governatore, il suo segretario con la lista dei nomi e il Corrispondente che con non poca difficoltà manteneva l'ordine. Il deputato coi suoi impiegati intanto era già partito per l'isola. Il Corrispondente aveva noleggiato per tempo otto feluche, che stavano pronte per l'imbarco. Nelle tre prime montavano i religiosi; gli otto preti trovavano posto nella quarta, i quarantasei laici nelle altre cinque. Quante grida, quanta confusione finché non era tutto pronto per la partenza! il Segretario chiamava ognuno solo col sue numero e non per il nome, per scoprire quelli che forse avevano venduto la propria cartella. Alla marina di Casamiccicla trovavano i somarelli, che erano necessari per condurre i Padri ed altri infermi deboli all'Ospizio, ove il Governatore aspettava all'ingresso. Confortandoli con la sua lista, egli locava ognuno al proprio posto "con ogni dimostrazione d'affetto, carità e cortesia" dice l'istruzione. Far trovare agli ammalati, ai loro arrivo, tutto ben preparato, era un lavoro non indifferente! Prima di tutto, il Deputato appena eletto aveva da pensare alla scelta del personale. C'erano da trovare già a Napoli un buon cuoco con due aiutanti, uno scalco ssperto nel suo mestiere, un ripostiere con aiutante, un bottigliere pratico, un fornaio on aiuto, due infermieri che si solevano prelevare dagli incurabili e tre facchini per servizi più bassi. Sull'isola c'erano da prendere un compratore - una specie di omero - che ogni giorno andava con la barca del Monte a Napoli per la spesa, tre bagnaioli per il Gurgiteilo e per Fornello e Fontana, due arenaioli, una lavandaia e un acquarolo che, secondo l'istruzione da 1668, portava con la soma, continuamente l'acqua dal pozzo dell'Ospizio. Non sappiamo dove si trovasse questo pozzo, ma credo che fosse dislocato all'imbocco della cava del Pozzillo, ove ancora oggi esiste un il pozzo abbandonato che raccoglieva l'acqua non mineralizzata che sorge vicino al ruscello. Prima ancora del Deputato, si portava a Casamiccicia il Maestro di casa per assicurarsi se qualche riparazione fosse necessaria e se le suppellettili rimaste fossero in buone condizioni. Oltre a ciò era suo obbligo di informarsi se si trovasse sull'isola una provvista sufficiente di neve che era tanto necessaria per rinfrescare la frutta, le bevande ecc. Come è noto, si vedono ancora oggi, specialmente nella Falanga, le cosiddette fosse della neve , che furono utilizzate sino ai principio dei nostro secolo. Se l'inverno era stato troppo mite, si faceva venire la neve dalla Penisola sorrentina. Pare che i Governatori del Monte avessero poca fiducia negli ischitani. Dobbiamo tener conto che allora la odierna Piazza de Bagni aveva tutt'altro aspetto. Era una vallata ancora naturale, con un ruscello formato dalle diverse sorgenti, qualche misera casupola per i bagni, qualche casa di campagna sparsa qua e là. La Casamicciola del Seicento restava invisibile dal mare, nascondendosi aggruppata intorno alla chiesa di San Severino, completamente dietro le colline. Così l'Ospizio era molto isolato, ed oltre a ciò restava per undici mesi all'anno disabitato. In ogni caso i Governatori temevano certo non senza fondamento - per il suo ricco corredo e preferivano di trasportare ogni anno, finita la stagione balneare, quasi tutta la suppellettili, la biancheria, le coperte, gli arredi della Cappella, ben impaccate in casse e cesti, a Napoli, dove rimaneva affidato al sacrestano della Chiesa, per riportare tutto l'anno seguente. Perciò era altro dovere dei Deputato di controllare, in base alle liste già compilate dal Razionale a Napoli l'inventario. La più antica Istruzione contiene un elenco di tutto ciò che doveva allora andare a Casamicciola, in base alla quale possiamo farci un'idea del corredo dell' approvvigionamento e della cucina di un Ospizio modello del Seicento Neanche i bisogni più modesti sono dimenticati carta inchiostro penne chiodi spilli aghi saccoriali seta filo, spago, lacci, funi, cordicelle, lamparoli, zolfanelli, palicchi ossia stuzzica denti (mille pezzi), scope ordinarie e speciali, catini, tinozze, piatti, caraffe, tegami, pignate, candelieri di creta, caraffoni ecc. Bellissima è la chiusa di questo elenco: "Orinali, cocchiari di legno, solimaro per li sorci e polvere per sparare alla festa di Nostra Signora". Molto modesto ci pare il consumo del sapone: 44 chili e mezzo ci volevano per i 148 infermi delle due missioni più i 12 laici ed il personale di circa 30 teste, cioè per 190 persone e per la durata di ventidue giorni. Neanche vino, frutta e verdura si acquistava ad Ischia: "Nella Isola non si può sperare altro che legna" dice l'istruzione. Tuffo veniva invece da Napoli. I viveri ncorruttibili arrivavano già con l'inventano. L'elenco dell'istruzione ci informa anche su questi. La base del vitto consisteva in 32 ettolitri ci si parla, naturalmente, di tomoli, rotoli, libbre, staia ecc. - di grano o farina, 77 chili di lardo, 36 chili di sugna, 27 chili di farro, 75 chili di gnocchi e tagliolini, (l'uso dei maccheroni. oggi così indispensabili, si diffuse appena all'inizio dell'ottocento, quando di cominciò a prepararli a macchina, 135 Kg. di formaggi diversi, 56 chili d'olio, 27 chili di carne salata, 7500 uova e 130 galline, per le quali si portava anche il grano-turco. Quasi ogni giorno si facevano venire da un macellaio napoletano uno o più vitelli, che venivano macellati poi da un impiegato del fornitore a Casamicciola. Il Maestro di casa soleva acquistare solamente la quantità necessaria, mentre il resto veniva venduto dal macellaio, per suo conto, alla popolazione. Quindi la lista nomina pure 80 cappucce, 48 chili di scarole bianche, nere e lattughe, 6 chili e mezzo di finocchi, 400 limoni, zucche, frutta, cipolle ecc. per quanto ne occorressero. Del resto non mancano tutte le cose gustose senza le quali una cucina napoletana anche nel Seicento non era imma-ginabile: un barilotto di sardelle salate, 5 chili di capperi, 21 litri d'olive, 9 chili di funghi, 9 chili di tonno sott'olio - il baccalà era allora ancora sconosciuto in Italia - ma la lista contiene 8 chili di musciomao, cioè carne di delfino secca, come la usano ancora oggi i mariani genovesi. Anche la conserva di pomodoro, oggi, non meno indispensabile dei maccheroni, non era ancora entrata nella cucina napoletana. Quindi figurano nella lista prugne secche, pignoli, uva passa, mandorle, cannella, garofano, 140 scatole di confettura e tante altre buone cose. Più che sufficiente pare anche la quantità del vino che si consumava in quelle 3 settimane. Se ne facevano venire non meno di otto botti! Strano che non si accontentavano del vino locale, così lodato dal Jasolino, specie per uso degli ammalati: "aggiunge forza e gagliardezza alle viscere ed a membri del corpo umano", dice lui. Ma il Monte ed i suoi periti erano sempre del parere che le varietà delle viti che allora si coltivavano sull'isola e che oggi sono quasi sparite col loro frutto, facessero male agli infermi. Tutto ciò doveva essere arrivato sull'isola e messo a posto prima che vi giunsero gli ammalati. Come questi saranno stati soddisfatti quando la campana, dopo un breve riposo, li chiamava per la prima volta alla cena! Trovavano le tavole ben apparecchiate, il vino ben rinfrescato in grandi recipienti di rame, ognuno le proprie posate vicine al piatto ma, stranamente, soltanto un bicchiere per ogni quattro. Conosciamo anche il menù: la cena consisteva in vitello arrosto o pollo, insalata cotta, un finocchio o frutta cotta; il pranzo invece cominciava con frutta, poi seguiva un antipasto di piedi di vitello o qualche cosa di simile, una minestra di verdura, vitello lesso o arrostito o anche di nuovo pollo, ed ancora una volta frutta. Qualcuno riceveva oltre a questo anche un pò di formaggio. Di buon pane bianco fatto in casa, si dava più che a sufficienza. Non potevano lamentarsi davvero!
Il vitto era regolato in base ad una relazione compilata verso la metà del Seicento da un medico: Fra Jacomo Carbonella, e depositata nei libri di Conclusioni. Gli impiegati mangiavano press'a poco lo stesso; il Deputato ed il medico godevano, oltre a ciò, di prosciutto, salame, marzoline fresche -un formaggio di pecora - meloni ed altro. Ora parliamo del regolamento di casa e delle cure termali. Per disciplinare tutta quella gente eterogenea, ci voleva necessariamente un regime abbastanza severo. Dopo il pranzo ognuno doveva riposare tre quarti d'ora. Nella corsia grande era il cappellano infermiere responsabile dell'assoluta quiete, nel camerone di basso il sottoinfermiere. Finita questa pausa suonava una campana. Allora si riuniva anche il Deputato coi suoi ospiti, il quale in quelle settimane doveva dedicarsi totalmente agli ammalati. li Monte non permetteva neanche che facesse un bagno. Egli giocava, a quell'ora, a scacchi coi monaci - l'unico giuoco permesso - e si tratteneva con loro su problemi religiosi. Quando minacciavano dispute più vivaci, era suo dovere placare in tempo. Prima della cena si cantavano nella cappella le litanie della Madonna. Con l'Ave Maria andavano tutti a letto, dopo che il cappellano infermiere aveva cantato nella corsia dei secolari, ancora una volta, la stessa litania lauretana. Era severamente proibito a chiunque di dormire con i 46 ammalati. Se qualcuno si comportava male, era dovere del Cappellano di denunciarlo al Deputato, il quale lo ammoniva o, eventualmente, lo castigava, mentre rimandava gli incorreggibili senz'altro a Napoli. Era proibito di portare armi, di usare piatti o bicchieri propri e di mangiare cibi che non provenissero dal Monte. Non di rado accadeva che venissero delle signore in compagnia di cavalieri per fare una visita all'Ospizio. Allora era dovere del Deputato di accoglierle gentilmente, e se portavano qualche strumento con sè, di farle suonare nel cortile sotto il grande gelso, scegliendo canzoni sacre, non dispiacenti agli orecchi dei monaci. Le cure cominciavano subito, al mattino dopo l'arrivo, generalmente con i bagni del Gurgitiello. C'erano due casupole riservate per l'uso del Monte. Una consisteva nell' antico bagno di 5. Maria del Popolo di Napoli, cioè dedicato alla patrona dell'Ospizio degli Incurabili, già esistente ai tempi di Jasolino e situato ad est del nuovo bagno che fece costruire la nobildonna Gerolomina Colonna, sua cliente ed amministratrice, verso il 1570. Dati gli stretti rapporti che legavano il Monte al detto Ospizio, non c'è da meravigliarsi che mettesse questo bagno a sua disposizione; vicino, il Monte ne costruì un altro, con una polla propria. Purtroppo in questi stabilimenti non regnava la stessa pulizia, igiene e buona organizzazione che nell'Ospizio. Per tutti i 77 ammalati che si curavano contemporaneamente, c'erano soltanto due camere, ognuna con una sola vasca in muratura, nella quale si tuffavano sempre 4 e 5 persone in una sola volta. lì bagno nuovo era destinate ai religiosi, l'altro ai preti, che godevano la precedenza, e tutta la turba dei laici. Siccome sino all'ora di pranzo tutti dovevano aver fatto il bagno, era obbligo del Deputate di stare attento che non restassero troppe tempo nella vasca. lì bagno dei religiosi aveva un ambiente dove venti materassi con cuscini e coperte permettevano di riposare e sudare; gli altri pare, erano costretti a ritornare subito all'Ospizio. Per farsi un idea giusta delle condizioni igieniche che regnavano allora, si deve tener presente che l'acqua di queste vasche come nel Cinquecento, quando Jasolino scrisse l suo libro, non si cambiava mai; anzi siccome non e era la possibilità di mischiare l'acqua calda con acqua fredda durante la giornata, il bagnino doveva riempire le vasche già la sera precedente, per farla trovare ben temperata il giorno seguente. E tanti ammalati soffrivano di piaghe e fistole aperte, poco appetitose! Meno male che il Monte non ammetteva sifilitici. Con questi inconvenienti, serviva pece che il bagnino fosse tenuto a mantenere il bagno pulito e profumato di fiori e di foglie di mirte. Gli altri bagni che si soleva ordinare oltre il "Gurgitello, si facevano nel pomeriggio. Alle sedici gli ammalati si recavano al Lago del Bagno e a Lacco, seduti su muli, qualche invalido anche portato su una sedia. E' da meravigliarsi che, nel Seicento, il Monte non avesse ancora le stufe, anche allora altamente in voga. Appena al principio de Settecento, cominciò a servirsi dei due sudatori del Castiglione. Alle porte della Corsia grande e del vaglio di basso erano affisse delle liste di tutti i rimedi stabiliti cosicché ognuno poteva informarsi la sera precedente sul programma del giorno seguente. Nei 9 giorni di cura si facevano prendere fin 20 bagni, per esempio: 3 di Gurgitello, 2 di Fornello, 5 di Fontana, 4 di arenazioni a Lacco, oppure 4 di Gurgitello, i di Fornello, 5 di Fontana, 6 di Fontana, 9 di arenazioni. Difficile immaginare con quali criteri si combinavano così diversamente i quattro mezzi di cura. La mattina del penultimo giorno delle missioni si riunivano preti, monaci e laici nella cappella per ascoltare una Messa per anime dei defunti benefattori del Monte, ed alla sera dello stesso giorno ringraziavano Iddio cantando le litanie della Madonna ed il Te Deum. Quando il 21 luglio anche la seconda missione aveva lasciato la isola, rimaneva ancora il Deputato per qualche giorno per riposarsi e mettere tutto a posto. Faceva anche pubblicare un bando, perché si presentasse chiunque avesse ancora denaro da riscuotere, acciò "si conservi il buon concetto e credito del Monte" dice l'istruzione. Ritornato a Napoli egli si faceva dare i conti dal suo corrispondente, li univa con le sue spese e compilava il bilancio, che doveva presentare nella successiva seduta al Governatore dell'Opera degli Infermi vergonosi". Oltre a ciò era suo dovere di fare un rapporto a voce e per iscritto di tutto il procedimento delle cure e di formulare eventualmente, proposte per qualche miglioramento aspettando - dice L'istruzione - dalla Santissima Madre delle Misericordie, alle sue pietose fatiche larga ricompensa. La descrizione della la vita dell'Ospizio nella sua prima fase. La sua organizzazione, il modo di scegliere gli ammalati, l'usanza di portare tutto il necessario da Napoli, il regolamento per gli ospiti come per il Deputato, restarono durante tutto il Seicenfo gli stessi, eccetto qualche particolare secondario. Non si può omettere la citazione di un miglioramento che fu apportato alla fine del secolo. Fu aumentato il numero degli infermi e venivano mandati allora, colle due missioni, invece di 92 laici, 200, lasciando il numero dei religiosi e preti come era in principio. La conseguenza inevitabile fu un ingrandimento sia dell'Ospizio che dei bagni. Si costruì un secondo camerone, dove furono messi i 54 letti nuovi e si raddoppiarono i bagni. Le due nuove casette si aggiunsero ad est delle vecchie, mandando una parte della vera acqua di Gurgitello che sgorgava fuori del terreno del Monte, con tubi nelle loro vasche. L'acqua del cosiddetto bagno dei denti, che venne inclusa soltanto nella costruzione del 1778, andava ancora perduta senza essere utilizzata. Il primo bagno che si incontrava venendo dal rione Cittadini, dove intanto erano sorte, qua e là, case di campagna delle famiglie nobili della città di Napoli, era adesso destinato ai religiosi, il secondo ai preti, il terzo ai laici ed il quarto - l'antico Bagno di Santa Maria del Popolo di Napoli - agli ammalati con piaghe. Anche in seguito il Monte curava sempre di migliorare quanto possibili, il sue ospizio. Durante il Settecento fece costruire un nuovo refettorio in cui mangiavano adesso anche i monaci, ed aumentò il personale fino a 50 persone. Ma malgrado ciò, i bagni troppo primitivi e tutta la costruzione del Seicento non potevano più tenere il passo con le pretese degli ultimi decenni del secolo, quando si rimodernavano dappertutto, in Italia come in Germania ed in Francia, le Stazioni balneari, per quanto riguarda l'igiene e le comodità, diventando i luoghi di cura sempre più anche luoghi di piacere. Era nel 1778 che sorgeva a Casamicciola un nuovo Ospizio, un vero palazzo per i poveri e, di fronte, sopra le sorgenti, uno stabilimento che era finalmente adeguato alle esigenze dei tempi.

Dopo il terremoto del 1883 che distrusse il primo edificio termale eretto nel 1694, fu aperto nei primi anni di questo secolo (1901-1904) l'attuale stazione termale del Pio Monte della Misericordia, che prende il nome dalla fondazione di beneficenza che la governa.

Superfice coperta 11.900 mq. - Volume complessivo 52.000 metri cubi. - Superfice esterna 13.000 mq.



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